Per inviare richieste

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Per inviare un'offerta o una richiesta di aiuto l'indirizzo comune della PROTEZIONE CIVILE e del MIBAC Emilia Romagna e:
sisma2012@regione.emilia-romagna.it
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martedì 29 aprile 2014

TUTTI A MIRANDOLA IL 4 MAGGIO






MIRANDOLA 4 MAGGIO – COM'ERA, DOV'ERA
Un invito nell'Emilia Romagna Terremotata. A due anni dal terremoto che ha scosso l'Emilia, Italia Nostra Consiglio Regionale Emilia Romagna, un network di associazioni in prima linea nella salvaguardia del patrimonio e Tomaso Montanari riaprono il dibattito.

Mirandola 4 Maggio. Com'era, dov'era nasce in seguito agli spunti emersi nel corso di L'Aquila 5 Maggio, ideata da Tomaso Montanari, che ha portato una rete di 20 associazioni e istituzioni impegnate nella promozione e nella salvaguardia del patrimonio culturale a collaborare, più di 1.000 storici dell'arte, i giornalisti delle maggiori testate nazionali ed internazionali e l'ex Ministro per i Beni e le Attività Culturali Massimo Bray a visitare e confrontarsi con il tema del terremoto e della ricostruzione non solo fisica, ma anche civile e morale de L'Aquila e del Paese, mettendo nuovamente al centro il ruolo della storia dell'arte. Con queste premesse Italia Nostra – Consiglio Regionale Emilia Romagna, invita il 4 maggio 2014 il mondo della cultura e tutti gli interessati, insieme a La Nostra Mirandola, ANISA, Associazione Bianchi Bandinelli, Comitato della Bellezza, Eddyburg, FAI – Fondo Ambiente Italiano – Presidenza Regionale Emilia Romagna, Italia Nostra L’Aquila, patrimonio sos e grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola a Mirandola, per conoscere la realtà del sisma in Emilia Romagna, in un percorso che sceglie il paese come piazza, ma si estende a tutti i comuni coinvolti in questa tragica emergenza. Interverranno, nel corso della giornata, che comincerà alle ore 11 con una passeggiata silenziosa nei luoghi del terremoto e proseguirà dalle ore 15 con una serie di testimonianze,  Marina Foschi, Carla Di Francesco, Pierluigi Cervellati, Vezio De Lucia, Giovanni Losavio, Elio Garzillo, Paolo Foraboschi, Andrea Emiliani, Salvatore Settis, Tomaso Montanari. E’ stato invitato il Ministro Dario Franceschini. Sarà, inoltre presente Massimo Bray. L'obiettivo è sensibilizzare l'opinione pubblica ai temi della ricostruzione e della tutela del patrimonio culturale come punto nevralgico dell'identità del territorio. Salvare il patrimonio significa infatti anche preservare noi stessi e la nostra memoria. 










L'appello di Tomaso Montanari


Cari amici,

a quasi un anno dal nostro indimenticabile 5 maggio all'Aquila, è tempo di tornare a conoscere con i nostri occhi un'altra parte di quello che Raffaello chiamava il «cadavere di questa nobil patria».

Ed è per questo che vi invito a riunirci tutti nel cuore dell'Emilia terremotata: a Mirandola, domenica 4 maggio 2014. Come all'Aquila, anche a Mirandola prima vedremo con i nostri occhi, poi ci riuniremo per parlare ed ascoltare.

L'idea parte da moltissimi cittadini emiliani e da Italia Nostra, che hanno l'urgente bisogno di sentire la solidarietà, ma soprattutto la vicinanza intellettuale e morale della comunità scientifica della storia dell'arte e dell'urbanistica.

Naturalmente, la situazione dell'Emilia non è paragonabile a quella dell'Aquila: se non altro non lo è per l'estensione e la gravità delle distruzioni. E non lo è perché in Emilia non si è commesso il criminale errore di costruire le cosiddette new town, che sarebbe meglio chiamare not town.

Ciò non vuol dire che non ci siano pericoli. Il più grave è quello che incombe sui centri storici e sulla loro integrità. Negli ultimi mesi si è fatta strada, in Emilia, l'idea di ricostruire gli edifici storici dov'erano, ma non com'erano. In convegni, saloni del restauro e altri appuntamenti pubblici sono stati presentati numerosi progetti di 'ricostruzione' che – se approvati – stravolgerebbero il tessuto monumentale urbano dell'Emilia, sconfessando una civiltà secolare. Architetti, teorici del restauro, amministratori pubblici hanno in questi mesi alimentato una retorica del terremoto come «occasione» di 'lavoro' e di 'rinnovamento': una retorica che – se tradotta in azione – rischia seriamente di non far conoscere agli italiani di domani l'Emilia Romagna che abbiamo conosciuto noi.

Noi pensiamo che la campagna di demolizioni messa in atto all'indomani del sisma sia stata un errore grave. E chiediamo di riflettere attentamente prima di compiere altri errori irreversibili.

Per questo il 4 maggio invitiamo i poteri pubblici emiliani a confrontarsi con gli studiosi e i cittadini. Siamo grati agli organi della tutela per l'infaticabile lavoro che sta mettendo in sicurezza il patrimonio storico e artistico emiliano: un lavoro che ha conosciuto punte di eccellenza, come il Centro di raccolta di Sassuolo. Ma siamo anche perplessi di fronte a quelle che sono sembrate delle singolari aperture alla teoria del dov'era ma non com'era.

Su questo occorre essere molto chiari. Siamo oggi di fronte ad una pesante campagna di delegittimazione del ruolo delle soprintendenze: una campagna che vede attivissimi il presidente del Consiglio e quello che fu un grande giornale progressista. Ebbene, noi vogliamo dire con forza che stiamo dalla parte delle soprintendenze: e cioè dalla parte della Costituzione italiana. Dalla parte della tutela: cioè del futuro. Dalla parte dei diritti della persona: non dalla parte del cemento.
Proprio per questo abbiamo invitato a parlare la direttrice regionale e il ministro per i Beni Culturali.

Proprio per questo chiediamo alle soprintendenze emiliane e alla Direzione regionale di dire una parola chiara e definitiva contro il dov'era ma non com'era.

Immaginate cosa sarebbe successo se, all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, fosse passata la linea della modernizzazione dei monumenti gravemente danneggiati: oggi non avremmo – per non fare che due esempi prossimi alla terra di cui parliamo – né l'Archiginnasio di Bologna, né il Tempio Malatestiano di Rimini. E al loro posto 'contempleremmo' due architetture degli anni cinquanta del Novecento.

Ebbene, di fronte a tutto questo gli storici dell'arte italiani non possono restare in un silenzio che rischia di trasformarsi velocemente in complicità.

È per questo che vi invito tutti, il prossimo 4 maggio a Mirandola: per Mirandola, per un'Emilia, com'era e dov'era.

Grazie, e a presto

Tomaso Montanari


PROGRAMMA

Ore 11: visita in corteo ai cantieri dei monumenti (partenza da Piazza Costituente)
Ore 13 punto ristoro in Piazza Costituente

Ore 15 ritrovo e interventi in Piazza Costituente

Interventi previsti (oltre ai saluti istituzionali e al saluto dell'Aquila)

Marina Foschi, Carla Di Francesco, Pierluigi Cervellati, Vezio De Lucia, Giovanni Losavio, Elio Garzillo, Paolo Foraboschi, Andrea Emiliani,
Salvatore Settis, Tomaso Montanari.

E’ stato invitato il Ministro Dario Franceschini. Sarà presente Massimo Bray.

La seconda parte del programma si svolgerà in Piazza Costituente



Mirandola 4 Maggio – Com'era, dov'era è promosso da

Italia Nostra – Consiglio Regionale Emilia Romagna
La Nostra Mirandola
ANISA, Associazione Bianchi Bandinelli, Comitato della Bellezza, Eddyburg, FAI – Fondo Ambiente Italiano, Presidenza Regionale Emilia Romagna, Italia Nostra Emilia Romagna, Italia Nostra L’Aquila, Patrimonio Sos

Con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola

info e per aderire.

cell. 3396165636
mirandola4maggio@gmail.com


press:
+39 3928928522
mirandola4maggio@gmail.com

mercoledì 19 dicembre 2012

COME ALL’AQUILA ? NO, PEGGIO


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COME ALL’AQUILA ? NO, PEGGIO

La legge sulla ricostruzione dell’Emilia Romagna completerà l’opera del terremoto. E le soprintendenze di rincalzo: “dov’era, ma non com’era!”


Se all’Aquila un mix di insipienza e prepotenza ha pregiudicato la rinascita del meraviglioso centro storico abruzzese, le norme elaborate dalla Regione Emilia Romagna si propongono di fare molto peggio e in nome di uno pseudo efficientismo, del risparmio energetico, della sicurezza consentono, dietro la semplice dichiarazione di un tecnico, di demolire tutti gli edifici storici danneggiati, aggirando le disposizioni di tutela previste dalla pianificazione comunale .

Se all’Aquila non sono stati in grado di concludere nulla, hanno  procurato guai solo in quel centro storico : in Emilia Romagna propongono di estendere a tutti i centri e nuclei storici terremotati le nuove norme, degne del piccone demolitore.
Per ora esse riguardano i comuni colpiti dal sisma ma presto, siamo facili profeti, saranno estese a tutti i centri storici della Regione.

Questo obbrobrio cancella d’un colpo le politiche di conservazione dei tessuti edilizi storici attuate attraverso il restauro, nate e praticate in questa regione, che hanno costituito un modello imitato in tutta Italia e che ha fatto scuola in tutti i Paesi europei,  facendo sì che i principi della tutela fossero il cardine delle politiche riguardanti le città storiche.

Scompare, definitivamente cancellata,  la nozione stessa di centro storico, costituito dall’intero tessuto degli edifici che il tempo ha stratificato nella parte antica della città, creando un unicum fatto di edifici, monumenti, palazzi, spazi pubblici, piazze, del quale a malapena si vogliono salvare solo i pochi edifici vincolati ai sensi del Codice dei BBCC, ritornando ad una concezione superata da decenni, secondo la quale sono i soli monumenti ad avere il diritto ad essere conservati.

Anzi neppure gli edifici monumentali possono dirsi salvi e per essere sollevate dal dovere del restauro e del ripristino le soprintendenze hanno bisogno di una norma regionale che liberi da tale regola gli edifici danneggiati soggetti alla loro tutela. Una perversa alleanza contro i patrimoni urbani storici. E proprio negli ambienti della direzione regionale per i beni culturali è stato lanciato il perverso slogan generalizzato del “dov’era, ma non com’era”.

 Che razza di idea è mai questa, se l 'obiettivo è il restauro? E le soprintendenze solo di restauro debbono occuparsi. Il fatto è che la metodologia del restauro, che si è  consolidata soprattutto in Italia ove è ampiamente utilizzata con criteri, materiali e tecnologie derivati dalla tradizione, che ormai hanno raggiunto applicazioni all'avanguardia grazie a maggiori garanzie, prove e metodi di calcolo ottenuti con tecnologie innovative, non viene sufficientemente valorizzata nell’opinione corrente e alcune Università, non esenti dalla civetteria delle innovazioni, non ne riconoscono il valore scientifico.

Il perché è assai semplice. La posta in gioco è altissima: oggi chi paga non vuole impegnarsi con il restauro, preferisce assemblare elementi garantiti, evitare responsabilità e calcoli puntuali, mentre molti progettisti, rivendicando una loro originalità espressiva, vogliono lasciare la loro impronta nei tessuti storici.

Allora il "non com'era" non diventa la mediazione fra i supposti “estremisti della conservazione” e il piccone demolitore, ma una strada maestra per far prevalere con prepotenza proprio il piccone, sposando così la povertà culturale e professionale con la cancellazione del patrimonio storico.

Tutto ciò è dimostrato  dalla legge regionale in discussione sulla ricostruzione, con l'ipocrisia di enunciati che predicano la tutela mentre le norme di fatto aprono ogni porta alla demolizione.

Il Piano della ricostruzione, infatti, tratta espressamente trasformazioni e incentivi urbanistici e le modifiche alla pianificazione vigente. Meglio sarebbe, in comuni normalmente dotati di buni Piani, accelerarne le procedure. Questo piano è uno strumento che dal dopoguerra all’Aquila ha consentito i peggiori interventi.

La ricostruzione diviene allora occasione di sviluppo, come affermano impudentemente politici di ogni colore fin dai tempi dell’Irpinia, e si sostanzia in premi di volume, variazione dello stesso tessuto urbano storico, delocalizzazioni, demolizioni, specie per fare posto a nuove infrastrutture, a spese delle misere risorse messe a disposizione per ridare ai cittadini la loro identità sconvolta. Con la benedizione delle soprintendenze.

L’impiego di tecnologie e risorse umane per una grande opera di restauro sarebbe invece un’opportunità di riqualificazione non solo per il settore edlizio, ma per l’immagine produttiva nazionale e una risposta concreta alla necessità di conservare la propria identità delle comunità colpite.

In questo momento di crisi, riversare denaro destinato al recupero e alla ricostruzione per “delocalizzare”, anziché riparare, abitazioni e attività produttive rende più costoso e meno fattibile il ritorno alla normalità e solleva dubbi sulla destinazione delle risorse pubbliche.

Italia Nostra,
Consiglio regionale – Emilia Romagna
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martedì 22 maggio 2012

TERREMOTO IN EMILIA - DISASTRO ANNUNCIATO

Continua ad allungarsi, di ora in ora, l’elenco dei danni al patrimonio culturale nell’area terremotata: inatteso, per ampiezza, per chi non ha conoscenza di questi luoghi.
 E’ un tessuto di edifici e infrastrutture storiche diffuso capillarmente e per questo ne va respinta l’etichetta di “patrimonio minore”: proprio perché costitutivo del volto di intere cittadine e paesi, questo patrimonio ne rappresenta la stessa possibilità di esistenza.
Non esiste Finale senza la sua torre dei Modenesi, Palazzo Veneziani, il Duomo, e neppure San Felice senza la Rocca, la parrocchiale eponima, la Canonica Vecchia, Villa Ferri (e la lista è solo esemplificativa, purtroppo).
Non ci sono forse emergenze da lista Unesco, ma un vastissimo repertorio di strutture che, in particolare per quanto riguarda l’architettura militare o quella signorile, testimoniano, nel loro insieme, l’eccellenza monumentale complessiva di un territorio che, fino ad adesso, aveva saputo conservarle con saggezza e competenza.
Fino ad adesso, appunto, perché l’intensità del sisma spiega solo parzialmente la gravità dei danni. Già Jean Jacques Rousseau, dopo il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, additava la stoltezza degli uomini, rei di aver costruito troppo, e non la malevolenza della natura come maggiore colpevole della sciagura; così anche ora incuria e insipienza umana hanno aggravato quelli che potevano essere danni ben più sopportabili.

Il fattore moltiplicatore che ha ingigantito l’effetto distruttivo del terremoto sul patrimonio culturale è la mancanza di un programma di manutenzione degno di questo nome.

Da anni, per mancanza di risorse e di personale, non vengono più effettuati controlli sistematici, per non parlare dei restauri riservati ormai solo alle “eccellenze”. Le verifiche anche statiche sono episodiche e legate ad eventi particolari. In pratica questo significa l’abbandono ad un destino di inesorabile degrado, accelerato, in questo caso, dall’evento sismico. E bastano davvero pochi anni di mancata manutenzione per aggravare il rischio di vulnerabilità in maniera determinante.

Come è successo per Pompei: non appena si cessa l’opera di ricognizione e manutenzione, i danni possono essere devastanti. Mancano i mezzi ed è sempre più evidente che il Ministero, il Mibac, annichilito dai tagli lineari tremontiani mai più recuperati, non è più in grado di garantire una decorosa operazione di controllo e manutenzione generalizzata e continuativa del patrimonio che è chiamato a tutelare. A questa condizione di impotenza oggettiva sarebbero chiamati a reagire, in prima istanza, coloro che la subiscono tutti i giorni in prima battuta, a partire dal Ministro e dalla dirigenza del Mibac che, al contrario, sembrano di fatto rassegnati ad una situazione di sfaldamento progressivo del sistema di tutela del patrimonio.
E la cecità nei confronti dei rischi territoriali è ormai generalizzata se le amministrazioni locali hanno potuto dar credito ad un incredibile progetto di stoccaggio di gas naturale in unità geologica profonda nel sottosuolo della Bassa Modenese.
Il progetto, contrastato a lungo dalla sezione di Italia Nostra e da Comitati locali e non ancora abbandonato, prevedeva di immagazzinare tre miliardi di metri cubi di gas naturale nel sottosuolo a circa tre chilometri di profondità esattamente nella zona oggi interessata dal terremoto con palese sottovalutazione dei rischi geologici e sismici che oggi si sono puntualmente manifestati in tutta la loro evidenza.
Contemporaneamente i media ci rimandano il mantra ossessivo di un’idea del nostro patrimonio culturale come strumento per generare ricchezza, petrolio a basso costo in grado di rilanciare la nostra economia perché capace di attirare masse di turisti pronti a spendere.
E che fare allora nel caso dei monumenti colpiti da quest’ultimo sisma, turisticamente poco eclatanti e spendibili, “importanti” non per il turista di passaggio, ma per il cittadino che quei luoghi quotidianamente vive?

Eppure anche in questo caso la risposta sarebbe abbastanza semplice:
un programma nazionale di riqualificazione urbana, conservazione e restauro dei centri storici, consolidamento e manutenzione del territorio avrebbe sicuramente costi elevati, ma del tutto allineati alle decine di miliardi che l’attuale governo e il ministro Passera, in specie, è intenzionato ad investire nelle così dette “Grandi Opere”.
Ma in più garantirebbe un tasso di occupazione addirittura triplo, secondo alcune stime, rispetto a queste ultime. Insomma, più lavoro e la prospettiva di un territorio migliore e di un patrimonio tutelato.
Ce l’aveva già spiegato Cederna oltre trent’anni fa: è tempo di cominciare ad ascoltarlo.

Maria Pia Guermandi